Elizabeth Holmes e il caso Theranos. Quando lo storytelling conta più della realtà.
Agli inizi del nuovo millennio, una startup della Silicon Valley prometteva di rivoluzionare gli esami medici con una nuova tecnologia. Quella che sembrava una bella storia di innovazione al servizio del pubblico, si rivelò invece una colossale truffa...
In questo articolo si parlerà di una truffa; non una qualsiasi, bensì una delle più grandi dell'ultimo decennio, che vide coinvolti personaggi noti nell'ambito della finanza e dell'imprenditoria americane.
Generalmente una truffa prende avvio da una storia inventata di sana pianta, che viene spacciata per vera. Le probabilità che venga creduta aumentano se si trova la persona giusta a cui raccontarla; in genere qualcuno tanto sprovveduto da non essere in grado di fiutare l’inganno, oppure in una peculiare situazione che lo rende debole e facilmente impressionabile. Tutto questo ha ovviamente lo scopo di ottenere del denaro dalla vittima, promettendo in cambio qualcosa che poi non verrà dato (le possibilità sono le più svariate). La vittima ideale è quindi una persona con molto denaro, senza la capacità di gestirlo.
Nella storia che vedremo però le cose sono andate diversamente; a essere frodate infatti sono state alcune delle personalità più in vista della finanza e dell'imprenditoria americane. Persone dotate di acume e capacità di ponderare i propri investimenti ben al di sopra della media. E poi vi è stata un'altra grande vittima, che difficilmente otterrà un risarcimento: la fiducia del pubblico nella rivoluzione tecnologica e nella sua promessa di migliorare il mondo.
All’inizio del nuovo millennio la Silicon Valley era il centro mondiale dell’innovazione tecnologica. Le principali aziende americane del settore informatico avevano (e hanno ancora) sede lì, comprese Apple e Microsoft. La genialità e lo straordinario successo economico ottenuto in breve tempo dai leader di queste imprese avevano contribuito a creare attorno ad essi una sorta di culto della personalità, che alcuni di loro incoraggiarono attraverso atteggiamenti da “guru”.
In questo contesto mosse i primi passi la protagonista di questa storia, Elizabeth Anne Holmes, grande ammiratrice di Steve Jobs che che nutriva l’ambizione di diventare una protagonista della rivoluzione tecnologica.
Proveniente da una famiglia benestante, svolse i propri studi presso istituti superiori di buon livello, iscrivendosi poi al corso di Ingegneria Chimica alla Stanford University. Una delle sue prime esperienze sul campo fu la collaborazione con il Genome Institute of Singapore per effettuare dei test tramite la raccolta di campioni di sangue, nel periodo in cui imperversava l’epidemia di SARS in estremo oriente; questa esperienza fu probabilmente la molla che portò la giovane a indirizzare le sue attenzioni nel settore medico-sanitario, nonostante la mancanza di vere e proprie competenze nel campo.
Nel 2003, all’età di soli 19 anni, depositò il suo primo brevetto: un cerotto “intelligente”, in grado di monitorare le condizioni del paziente e di rilasciare farmaci se necessario. Nello stesso anno ebbe quindi l’idea che cambierà la sua vita; proponendosi di “democratizzare l’assistenza sanitaria”, abbattendo i costi degli esami del sangue grazie a un sistema innovativo, fondò una startup di tecnologia sanitaria, la Real-Time Cures, per portare avanti tale progetto.
In un sistema dove le spese mediche erano (anche oggi è in gran parte così) a carico totale dei cittadini, ridurre i costi degli esami era un’idea che faceva presa. Ma non si trattava solo di questo; l’aspetto più rivoluzionario del progetto era quello di ottenere moltissime informazioni estraendo dal paziente soltanto poche gocce di sangue tramite una puntura sul dito.
La realizzazione pratica di tale idea venne però messa in discussione dagli esperti a cui fu presentata. Tra questi vi era Phyllis Garner, professore di medicina alla Stanford University, il quale disse alla Holmes che quel progetto non avrebbe mai potuto funzionare.
Tuttavia, convinta della validità delle proprie idee, ella riuscì a trovare un patrocinatore in Channing Robertson, professore di ingegneria chimica nella stessa università. Costui diventerà determinante per lo sviluppo del progetto, presentando a potenziali investitori la startup, che nel frattempo aveva cambiato nome in Theranos (una crasi delle parole Therapy e Diagnosis).
Elizabeth Holmes decise quindi di abbandonare gli studi, utilizzando i fondi per l'università come capitale per la sua azienda. Alla fine del 2004 Theranos aveva raccolto più di 6 milioni di dollari di finanziamenti, grazie ai quali fu possibile procedere allo sviluppo del progetto, assumendo i primi dipendenti.
L’azienda continuò a ottenere notevoli finanziamenti negli anni successivi, acquisendo inoltre importanti personalità nel suo consiglio di amministrazione. Nonostante tale incredibile crescita in patrimonio e reputazione, in tutto questo tempo al pubblico non venne mai mostrato nulla di concreto; a parte le dichiarazioni d’intenti della Holmes, Theranos non rilasciava interviste ne disponeva di un sito internet.
Solo nel settembre 2013 annunciò pubblicamente la propria collaborazione con la catena di farmacie Walgreens, con cui aveva stipulato un accordo per offrire la possibilità di svolgere esami del sangue direttamente nei punti vendita di quest’ultima. Da quel momento Elizabeth Holmes divenne un personaggio famoso.
Comparendo spesso vestita con un maglione a girocollo nero, simile a quello di Steve Jobs, presenziò a riunioni e a trasmissioni televisive, parlando del suo progetto e presentando il rivoluzionario dispositivo per gli esami del sangue; denominato Edison, era un macchinario grande circa quanto un computer desktop. Secondo l’azienda produttrice, era in grado di svolgere un numero incredibile di test differenti (più di 200) utilizzando poche gocce di sangue di una paziente, raccolte in un micro-contenitore chiamato nanotainer. Considerando che un esame medico tradizionale richiede il prelievo di una quantità maggiore di sangue per fare molti meno test, la portata innovativa di Edison sembrava davvero rivoluzionaria. Nei mesi successivi la fama di Theranos si sparse per il mondo e, conseguentemente, anche quella di Elizabeth Holmes, che si avviò a diventare una vera e propria guru; nel 2014, sulla rivista di settore Forbes, venne definita “la più giovane miliardaria fattasi da se del mondo”, mentre l’anno successivo Glamour la definì “donna dell’anno”.
La fama e il successo però non durarono molto; nell’ottobre 2015 il Wall Street Journal pubblicò un articolo “bomba”(1), realizzato grazie alle segnalazioni di alcuni ex-dipendenti della compagnia, nel quale veniva descritta una realtà ben diversa rispetto a quella propagandata; Edison non produceva risultati affidabili, e la compagnia falsificava i risultati dei test: dopo averli ottenuti con metodi tradizionali, dichiarava di averli realizzati col proprio macchinario. Da qui in poi per Theranos inizieranno i problemi. Nonostante le iniziali smentite, un’ispezione condotta dalla CMS (2), scoprì delle irregolarità. A seguito di ciò venne quindi imposto all’azienda un bando di due anni sulla facoltà di gestire ed effettuare esami del sangue. Walgreens si ritirò dall’accordo commerciale siglato in precedenza e, mano a mano che tutti i dettagli della vicenda venivano a galla, pioveranno prima le multe e le richieste di risarcimento, quindi le accuse di frode.
Da quanto è emerso, Elizabeth Holmes gestiva Theranos tramite un sistema a compartimenti stagni, in cui la circolazione delle informazioni fra i vari gruppi di lavoro era resa difficile. Ufficialmente, tutto ciò serviva a difendersi dalla concorrenza, in quanto si stava lavorando a una nuova tecnologia; in realtà questo tipo di organizzazione permetteva di nascondere facilmente qualsiasi irregolarità. Suo complice fu il direttore operativo, l’imprenditore di origine pakistana Ramesh Balwani, a cui la Holmes era sentimentalmente legata da tempo. Con questo sistema, se un dipendente sospettava qualcosa, o più semplicemente esprimeva dubbi e critiche, restava da solo contro l'azienda, venendo così facilmente messo a tacere, anche tramite la minaccia di licenziamento.
Riguardo a questo aspetto, vale la pena di citare il caso di Ian Gibbons. Esperto di biochimica, con una carriera pluriennale alle spalle, egli fu posto a capo del team scientifico di Theranos; in questo ruolo, si scontrò spesso con l’amministrazione aziendale, criticando gli impedimenti al confronto tra i team e mettendo in dubbio l’efficacia dei test effettuati con Edison. Licenziato nel 2010 per queste continue lamentele, venne successivamente reintegrato grazie alle pressioni dei colleghi, ma gli venne affidato un ruolo di minore responsabilità. Stando a quanto affermato da sua moglie, Gibbons si era convinto che in Theranos nulla funzionasse per il verso giusto; nonostante ciò, avrebbe continuato a lavorare spinto dal timore che, per via dell’età avanzata, perdendo il posto non ne avrebbe trovato facilmente un altro di pari livello. Questa situazione lo portò ad essere depresso e frustrato.
Nel 2013 fu chiamato a testimoniare in tribunale, per una causa che opponeva Theranos all’inventore Richard Fuisz. Costui accusava la startup di aver depositato brevetti copiati da precedenti ricerche di Gibbons svolte per Biotrack, l'azienda dove lavorava prima di prendere parte al progetto della Holmes. Theranos fece pressioni sul suo dipendente, invitandolo a non presentarsi in tribunale e fornendogli un certificato medico in bianco da usare come motivazione. La sera prima dell’udienza, dovendo scegliere tra perdere il posto di lavoro o la propria reputazione, lo scienziato assunse un cocktail di alcool e farmaci che lo condusse alla morte.
La cosa più incredibile di questa storia è stato il modo in cui una startup, inizialmente piccola e sconosciuta, sia riuscita in breve tempo a ottenere così tanta fiducia e denaro. E qui ha giocato un ruolo determinante lo storytelling. Con questo termine inglese, traducibile letteralmente come “narrazione”, di solito ci si riferisce al modo in cui qualcuno (o qualcosa) si presenta al mondo; potremmo quindi tradurlo in modo più efficace come “arte di raccontare se stessi agli altri”.
L’aspetto chiave della vicenda fu infatti mostrare Theranos nella veste di azienda innovativa per eccellenza, sfruttando l’immagine classica che vede il “grande innovatore” essere una persona di giovane età con idee geniali, inizialmente preso per matto e ostacolato dagli altri prima di raggiungere il successo. Questo tipo di storytelling richiamava facilmente al pubblico altre storie, per esempio quelle di Steve Jobs o Mark Zuckerberg; anche loro avevano iniziato giovanissimi, come la Holmes, anch’essi avevano avuto il coraggio di lasciare gli studi per realizzare le loro idee, scontrandosi con chi le ostacolava.
Presentarsi in questo modo forniva inoltre uno strumento di difesa; si sa del resto che le novità non vengono accettate subito, e c'è sempre qualcuno che contesta gli innovatori. Dopo la pubblicazione dell’articolo che l’accusava di frode, Elizabeth Holmes fu ospite di un talk show (3), durante il quale affermò: “Questo è quello che succede quando lavori per cambiare le cose, prima pensano che sei pazzo, poi ti combattono e poi all’improvviso cambi il mondo”. Al pubblico veniva quindi automatico identificarla come una geniale innovatrice.
Indubbiamente ella padroneggiò bene l’arte di raccontarsi agli altri ma, a parer mio, parte del successo fu dovuto a determinate circostanze che seppe sfruttare a suo vantaggio. Il contesto in cui Theranos fece la sua comparsa vedeva infatti un acceso dibattito politico sulla possibilità o meno di istituire un sistema sanitario pubblico negli Stati Uniti d’America. Questo tema era, ed è tuttora, molto sentito in alcuni settori della popolazione americana, che vedono come possibili modelli da seguire i sistemi vigenti in vari paesi europei (Italia compresa). Ecco quindi che il progetto di “democratizzare l’assistenza sanitaria” sembrava andare a braccetto col discorso più generale di favorire l’accesso all’assistenza medica dei ceti meno abbienti. Già una semplice riduzione dei costi degli esami infatti, in un sistema dove il singolo deve pagare tutto o quasi di tasca sua, può sembrare una vera e propria rivoluzione. Il dibattito che in quegli anni si andava facendo sull’assistenza sanitaria pubblica, e che sfocerà poi nel modello introdotto da Barack Obama, costituì insomma un’occasione d’oro per la Holmes, che riuscì a farsi passare quasi come una paladina della giustizia sociale. Lei stessa, con alcune sue iniziative, contribuì a farlo credere; nel 2015, ad esempio, si adoperò per fare approvare una legge dallo stato dell’Arizona che rendeva possibile effettuare analisi di laboratorio senza avere la richiesta del medico (4), velocizzando la procedura e abbassando i costi. Se idealmente tutto questo sembrava favorire il pubblico, in realtà era una legge perfetta per il business degli esami contraffatti di Theranos.
L’ambizione di Elizabeth Holmes, come scrivevo in precedenza, era quella di essere una protagonista della rivoluzione tecnologica. Studiando la vicenda, mi sono fatto l’idea che ella non avesse fin dall’inizio l’intenzione di mettere in piedi una truffa, ma fosse onestamente convinta della bontà del suo progetto. Una convinzione talmente forte da rasentare la fede, che le permise di insistere nel ricercare finanziatori nonostante i primi secchi “no”; una certezza granitica, di quelle che però, quando si dimostrano errate, non permettono di tornare indietro senza perdere la faccia. La scelta di portare avanti una frode fu presa forse nel momento in cui comprese che la sua idea non avrebbe mai funzionato; ormai le cose si erano spinte così lontano (e i finanziamenti ricevuti erano così tanti) che riconoscere l’errore avrebbe portato a una rovinosa caduta e alla perdita di ogni credibilità.
Riguardo ai finanziamenti, avere dalla propria parte il Prof. Robertson fu di capitale importanza. Con la sua autorevolezza, fama e conoscenze infatti, quest’ultimo riuscì ad attrarre i primi investimenti e a innescare il meccanismo. Il professore lasciò l’insegnamento nel 2012 per dedicarsi a tempo pieno a Theranos, del cui consiglio di amministrazione faceva già parte; fino al 2018, quando ormai l’azienda era nei guai fino al collo, continuò a sostenerla pubblicamente. Sebbene non sia stato oggetto di accuse, vi è chi sospetta che Robertson venisse pagato al solo fine di garantire la credibilità aziendale. Mano a mano che la startup si faceva conoscere, il suo storytelling attrasse nel proprio consiglio di amministrazione delle personalità che da sole avrebbero fornito a un potenziale investitore delle garanzie; sto parlando di gente come gli ex segretari di stato George Shultz ed Henry Kissinger, assieme a molte altre personalità del mondo politico, militare e imprenditoriale americano. Si sarebbe poi messo in moto un vero e proprio effetto domino, in cui all’investimento fatto, poniamo dal famoso magnate Rupert Murdoch, basandosi sulla fiducia che poteva offrire un’azienda con al suo interno quelle personalità, ne sarebbe seguito un altro, basato sul ragionamento per cui “Se Murdoch investe in Theranos, perché non dovrei farlo anch’io?”
La Holmes e Balwani sono stati incriminati per frode nel 2018; Balwani aveva già lasciato Theranos nel 2016, mentre la Holmes, dopo l’incriminazione, si è dimessa dal ruolo di amministratore delegato, mantenendo quello di presidente del consiglio d’amministrazione. L’azienda è attualmente in fase di liquidazione. Gli imputati si sono dichiarati non colpevoli, e la causa prosegue. Entrambi rischiano pene fino a venti anni di carcere.
(1) Articolo di John Carreyrou del 15 ottobre 2015: Hot startup Theranos has struggled with its blood-test technology, WALL STREET JOURNAL (richiesto abbonamento).
(2) Centers for Medicare and Medicaid Services, l’agenzia federale statunitense preposta, tra le altre cose, al controllo qualità dei test di laboratorio.
(3) La trasmissione "Mad Money" del 15/10/2015
(4) Articolo di Marco della Cava, Now no doctor's note needed for blood test in Arizona, USA TODAY del 02/06/2015