La guerra infinita (il finale)

Racconto a puntate

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Mentre Helen era in aeroporto, in attesa di potersi imbarcare, il cellulare squillò improvvisamente.

- La signora Helen Cohen?

- Sì, sono io.

- Qui è il dipartimento di polizia di Kimberley. La chiamiamo per quanto riguarda sua madre.

Il cuore le batteva all'impazzata quando rispose: - Mi dica pure!

- Signora Cohen, ci hanno comunicato che all'ospedale civile di Kimberley si trova una donna che corrisponderebbe alla sua descrizione. Dovrebbe recarsi lì a verificarne l'identità...

La prima reazione di Helen fu quella di sentirsi subito sollevata: sua madre si trovava in ospedale, quindi il peggio non era accaduto. Dopo breve tempo però si incominciò a preoccupare per lo stato di salute di lei, del quale la polizia non aveva potuto dirgli nulla. Ma avevano parlato di “verificare l'identità”... sua madre poteva essere in coma, a lottare tra la vita e la morte! Oppure poteva aver subito lesioni tali da renderle la vita completamente diversa; la gente di solito non sopravvive agli attentati riportando solo sbucciature... e se poi invece si fossero sbagliati e la persona ricoverata fosse qualcun'altra? Chiamò l'ospedale, ma la linea era intasata di telefonate e, prima che si liberasse, l'altoparlante annunciò l'inizio delle operazioni d'imbarco, costringendo Helen ad accodarsi agli altri viaggiatori per salire sull'aereo. Prima della partenza provò a fare ancora un tentativo, ma venne ripresa da una hostess che le chiese di spegnere il cellulare.

Durante il volo le preoccupazioni tornarono a tormentarla. Era stanca per il lungo viaggio in auto e l'attesa in aeroporto, ma l'ansia la divorava e non le permetteva di riposare. Non vedeva l'ora di arrivare per capire quale situazione avrebbe dovuto affrontare.

Atterrò a Kimberley che era già buio, prese un taxi e si fece portare in un albergo presso il quale aveva prenotato una stanza. Una volta lì cercò di prendere sonno, ma vi riuscì solo alle prime luci dell'alba.

Appena sveglia, il suo primo pensiero fu di chiamare l'ospedale; dopo un'estenuante attesa, ascoltando diverse volte la musica registrata e il ritornello che invitava a restare in linea, dall'altro capo della linea rispose una voce femminile:

- Ospedale civile di Kimberley, buongiorno!

- Buongiorno, sono Helen Cohen. Sono stata avvisata dalla polizia perché da voi c'è una paziente che potrebbe essere mia madre. Abitava in una della case colpite nell'attentato e...

- Signora Cohen, un attimo solo...- e ripartì la musica d'attesa. Dopo breve tempo per fortuna, la receptionist tornò all'apparecchio:

- Ho parlato col medico che si sta occupando di lei, ha detto che potrebbe venire questo pomeriggio verso le quattro per identificarla.

- Va bene, ma qual è il suo stato di salute? Come mai non è stata identificata?

- Mi dispiace signora Cohen, ma deve parlare col dottore di queste cose. Non sono autorizzata...

- Capisco, capisco. Verrò alle quattro allora.

Quando chiuse la chiamata, ebbe la certezza che la situazione di sua madre non fosse per niente buona.

- Cristo Tom! Torniamo indietro!

- Non possiamo... se invertiamo rotta quelli fiuteranno qualcosa, chiameranno rinforzi e ci saranno subito addosso. Dobbiamo andargli incontro, e sperare che tutto vada bene.

Tom aprì il cassetto portaoggetti del mezzo, dove si trovava una mitraglietta spitfire con alcuni caricatori. Tolse la sicura e la mise a portata di mano. Intanto degli agenti di polizia dal posto di blocco facevano cenno di fermarsi.

- Sean, lascia parlare me. Se però le cose si mettono male, dobbiamo essere pronti a tutto!

Sean tolse la sicura alla sua pistola. Al posto di blocco erano ferme due auto della polizia e una camionetta dell'esercito. Fuori dalla sede stradale, in un campo agricolo abbandonato, stazionava il carro armato responsabile delle tracce notate da Tom. Un militare si affacciava dalla torretta, osservando la strada.

Il pick-up rallentò e accostò al lato della strada. Un agente di polizia si avvicinò:

- Buonasera. Potreste favorirmi i vostri documenti?

Tom glieli consegnò, mentre l'agente aggiunse:

- Posso chiedervi cosa ci fate da queste parti? Lo sapete che questa zona è pericolosa? Sono in corso dei combattimenti.

- Sì agente, lo sappiamo. - rispose Tom - Vede il fatto è che io anni fa ho abbandonato la mia fattoria qui e allora, nell'attesa che questi fottuti ribelli vengano sconfitti, ogni tanto vengo con mio figlio a controllare la situazione.

Tom aveva parlato usando uno slang tipico di quella zona.

- Non possiamo farvi procedere oltre, l'area è troppo pericolosa al momento.

- Ma agente, abbiamo fatto tanta di quella strada per venire qui! Arriviamo da Buckley.

Buckey era una città di provincia dove si erano trasferiti molti degli agricoltori provenienti dalle zone dei combattimenti. La spegazione di Tom era verosimile.

- Mi dispiace, niente da fare. Tornerete un'altra volta.

- E va bene. Che diavolo però!

L'agente addetto al controllo documenti ci stava mettendo troppo. Tom sapeva che, quando il controllo durava più di cinque minuti, non si stavano limitando alle formalità, ma stavano verificando con attenzione l'autenticità dei documenti. Tutto ciò non voleva dire niente di buono per chi aveva documenti falsi.

Tom fece un cenno col capo a Sean, segnalandosi di tenersi pronto. Avrebbe tentato qualcosa per sfuggire al posto di blocco. Già, ma cosa?

- Ehi agente, mi dica: ci farebbe passare se avessimo il lasciapassare, vero?

- Ma che diamine sta dicendo? Qui non facciamo passare nessun civile! E' troppo rischioso!

- Eh, peccato, perché noi avevamo il nostro bel lasciapassare. Non volete vederlo?

L'agente ebbe un attimo di perplessità e si rivolse al collega impegnato nel controllo documenti, chiedendogli se ne sapesse qualcosa su un lasciapassare.

Anche il collega sembrò perplesso, poi si avvicinarono entrambi al pick-up.

- Possiamo vedere il vostro lasciapassare?

- Ma certo! - disse Tom, prendendo la mitraglietta e puntandola in faccia all'agente: - Ecco il mio lasciapassare! - e aprì il fuoco.

Sean estrasse la pistola dal giubbotto e iniziò a sparare contro gli agenti e i militari fermi vicino alle macchine. Il posto di blocco fu gettato nello scompiglio.

Tom ripartì a razzo, travolgendo un soldato che aveva davanti. Nel frattempo continuava a sparare raffiche dal finestrino, cercando di colpire l'osservatore del carro armato, che però fu svelto a rintanarsi nello scafo corazzato del veicolo. La torretta ruotò, puntando il cannone nella loro direzione.

- Cazzo! Cazzo! - gridò Sean - Leviamoci dalle palle!

Tom cercava di accelerare il più possibile, a breve c'era una galleria e forse sarebbero stati in salvo...

Il terreno alla loro sinistra esplose di colpo, il pick-up si sollevò sul lato destro, percorrendo alcuni metri in quella posizione, poi infine si ribaltò. Tom morì sul colpo, raggiunto da diverse schegge della granata, Sean invece fu sbalzato fuori dal veicolo, restando cosciente giusto il tempo per accorgersi che stava morendo. Poi si sfracellò per terra e tutto finì per sempre.


Helen sedeva a lato del letto dove giaceva sua madre, tenendole la mano e provando a parlarle. Lei era cosciente, ma il suo sguardo era perso nel vuoto. Ogni tanto mormorava qualcosa: frammenti di discorsi e parole che arrivavano da qualche parte della sua mente. Un infermiere entrò in sala, avvisando Helen che, se voleva, era possibile portare sua madre in giardino. Lyza venne fatta alzare dal letto e fu messa a sedere su una sedia a rotelle. Poi sua figlia la accompagnò in giardino a fare la quotidiana passeggiata del pomeriggio.

Quello era il settimo giorno che Helen trascorreva così, cercando di stare accanto alla madre il più possibile. I medici purtroppo imponevano dei limiti agli orari di visita e presto sarebbe venuto il momento di ripartire per il fronte.

Secondo i medici, la situazione di Lyza era stabile, ma non ci si potevano aspettare miglioramenti: il trauma subito alla testa le aveva portato via la memoria ed essa era condannata a vivere in una specie di limbo, nel quale i ricordi si avvicendavano liberamente, senza alcun ordine razionale. Alternava questo stato a fasi di temporaneo risveglio che la portavano a comprendere in tutto o in parte ciò che le veniva detto. In quei momenti però era facilmente soggetta ad attacchi di panico, scatenati dalla vista di oggetti o delle persone più svariate.

Lyza poteva ancora muoversi e camminare ma, considerata la sua situazione, questo era ben lontano dall'essere un vantaggio. Non avendo più il senso dell'equilibrio, poteva cadere improvvisamente e per medici era molto più sicuro farla restare nella sua stanza. Helen aveva insistito per portarla nel giardino con la sedia a rotelle, ricordando come a sua madre fosse sempre piaciuto passeggiare all'aria aperta. Sperava che in tal modo gli stimoli provenienti dall'esterno le avrebbero risvegliato la memoria, ma dopo alcuni giorni fu chiaro che di progressi non se ne vedevano. Da quando era arrivata, sua madre non era stata in grado di riconoscerla neppure nei momenti in cui aveva degli sprazzi di lucidità.

Aveva provato a ricordarle eventi della vita passata, ma era tutto inutile. Si trovava davanti a una persona che ormai di sua madre aveva solo le fattezze.

Venne infine il momento di ripartire. La guerra continuava e la dose di dolore che aveva dispensato a Helen era stata sufficiente a marchiarla per sempre; la donna che rientrava alla base era molto diversa da quella che ne era partita.

EPILOGO (due anni dopo)

Buio. Il sacco di tela che gli avevano messo in testa non permetteva di vedere nulla. Con la bocca, i polsi e le caviglie stretti dal nastro adesivo era incapace di muoversi. Attorno a se sentiva rumori e urla di dolore, provenienti da altre stanze. Poi sentì risuonare dei passi, sempre più vicini...

Quando gli tolsero il sacco, raggi di luce trapassarono le sue pupille come mille aghi.

- Buongiorno figlio di puttana!

L'uomo che aveva parlato rincarò il saluto con uno schiaffo sulla guancia destra. Era un uomo ben piantato, con le braccia nerborute e piene di tatuaggi. Il viso era coperto da un passamontagna.

Scosse la faccia, che gli doleva per la percossa, ma sapeva che ne sarebbero arrivate altre. Si trovava in una piccola sala illuminata da una luce al neon. Oltre all'uomo che lo aveva colpito, ce n'era un secondo appoggiato alla parete, di corporatura più esile. Quest'ultimo lo fissava intensamente, con gli occhi che il passamontagna lasciava intravedere. Poi disse:

- Guarda Nick, sembra che voglia dirci qualcosa...- la sua voce suonava un po' strana, quasi da adolescente.

- Ah sì? Sentiamo allora. Ehi tu, testa di cazzo! Hai detto qualcosa?

Mugugnò e un altro schiaffo lo colpì sulla guancia sinistra.

- Non ho sentito! Parla più forte, topo di fogna!

- Nick, che ne dici, forse dovremmo togliergli il nastro... se no il nostro amico qua finisce che perde la voce a furia di gridare.

- Eh sì, credo proprio che tu abbia ragione...

Lo strappo improvviso del nastro adesivo dalla bocca lo fece urlare di dolore.

- Ecco! Ora si che ti si sente bene! - disse Nick sogghignando.

- Allora stronzetto – disse il secondo uomo, prendendolo prima per la gola, poi avvicinandosi al suo orecchio per sussurrargli – I tipi come te di solito li ammazziamo subito e ce ne dimentichiamo un minuto dopo. Tu però sei un bastardo fortunato e potresti anche salvarti la pelle... si dice che tu sappia dove si nasconda Rick Mason, quello stronzo che organizza i dirottamenti. E' vero o no?

Il prigioniero rimase muto.

- Che, non ci senti forse? O forse vuoi che ci spieghiamo meglio? Nick pensaci tu! - e così dicendo mollò un calcio sulle costole all'interrogato, facendolo cadere a terra.

Nick sollevò di peso la vittima e la scaricò su una specie di lettino. Poi la legò strettamente a questo con delle cinghie. Il lettino fu inclinato in modo che il prigioniero si trovasse con le gambe più in alto della testa.

- Puzzate proprio come topi di fogna voialtri secessionisti. E' ora di lavarsi la faccia!

Con una specie di innaffiatoio Nick gli versò dell'acqua in faccia. Fu come essere sommersi senza aver trattenuto il fiato: il liquido gli entro nel naso e nella bocca, facendolo tossire e impedendogli di respirare.

- Dove si trova Mason? Parla!

La vittima rispose solo con qualche colpo di tosse.

- Sembrerebbe che il nostro amico voglia fare l'eroe...

- Oh oh! Abbiamo un eroe tra noi e non lo sapevamo! Ecco il prossimo martire della causa secessionista!

E Nick passò al secondo round.

Il prigioniero dimostrò di essere un osso duro, ma nessuno riesce a resistere troppo a lungo a questo genere di tortura. Prima che Nick iniziasse il terzo round, con la voce rotta dalla tosse, parlò.

Ci mise una mezz'ora buona a dire tutto ciò che sapeva, perché, è risaputo, quando ci si vuole salvare la vita, si diventa loquaci.

Quando ebbe finito, I due aguzzini si guardarono soddisfatti:

- Bene, sembrerebbe che abbiamo finito – disse Nick al compare.

- Si, quasi. Rimane solo un'ultima cosa da fare...

- Ah sì, Helen. Vi lascio soli allora.

Nick uscì dalla cella e si allontanò nel corridoio, facendo risuonare i suoi passi sul pavimento e contandoli mentalmente. Fu al decimo che udì lo sparo.