L'intelligence nella Repubblica di Venezia
Come la Serenissima tutelava la propria sicurezza
Tra il tardo Medioevo e l' inizio dell' Età Moderna, Venezia fu il centro principale per gli scambi tra Europa e Medio Oriente. Scambi commerciali e anche d'informazioni; infatti nella città giravano notizie di prima mano sugli altri paesi: geografiche, commerciali, politiche e militari. Il sistema politico vigente a Venezia rendeva molti amministratori depositari di informazioni, mentre un numero consistente di lavoranti era impiegato nell'arsenale o nelle vetrerie, attività coperte dal segreto di Stato. Non sorprende che la città pullulasse di spie straniere...
Per proteggersi, la città lagunare fece della segretezza la sua dottrina politica, dotandosi di specifiche istituzioni per tutelarla.
La "Serrata del Maggior Consiglio" e la nascita del Consiglio dei Dieci
Alla fine del XIII secolo, una serie di mutamenti politici portò all'istituzione di un governo oligarchico a Venezia. Nel 1297, una riforma delle modalità di partecipazione al Maggior Consiglio favorì chi ne aveva già fatto parte in passato e limitò l'ingresso di nuovi partecipanti; nel 1319, la carica di consigliere divenne infine ereditaria, impedendo l'accesso, se non in casi eccezionali, a nuovi membri. Questa riforma politica, nota come "Serrata del Maggior Consiglio", non trovò tutti d'accordo.
Nel 1310 gli oppositori, guidati da Bajamonte Tiepolo, Marco Querini e Badoero Badoer, tentarono un'azione di forza: la Congiura del Tiepolo. La defezione di uno dei congiurati fece però saltare l'effetto sorpresa e il tentativo non ebbe l'esito sperato. Dopo una feroce battaglia urbana, nella quale trovò la morte il Querini, la congiura si risolse con la resa dei rivoltosi, che avevano occupato il quartiere del mercato. Badoer venne giustiziato mentre il Tiepolo fu esiliato. Quest'ultimo rimarrà una spina nel fianco, tessendo intrighi con i rivali di Venezia negli anni successivi. La congiura rese chiaro il pericolo posto dai nemici interni, portando alla nascita di organi deputati alla sicurezza dello Stato.
Istituito per la prima volta proprio nel 1310, il Consiglio dei Dieci nacque come commissione straordinaria con poteri speciali per perseguire e reprimere i congiurati. Avrebbe dovuto durare un solo anno; tuttavia, il pericolo posto dal Tiepolo e da altri fuoriusciti portò alla continua riconferma, finché nel 1335 divenne un organo stabile all'interno delle istituzioni venete.
Era composto da dieci membri eletti dal Maggior Consiglio, che restavano in carica un anno, senza poter essere rieletti per due volte consecutive. Ognuno apparteneva a una diversa famiglia nobile, per non favorirne nessuna. A questi dieci si andavano ad aggiungere il Doge e i suoi sei consiglieri ducali e almeno un Avogator de Comun, magistrato che aveva potere di impugnare le decisioni del consiglio qualora fossero pregiudizievoli per il bene pubblico.
La funzione di questa magistratura era vigilare sulla sicurezza dello Stato, compito espletato costruendo reti informative e spionistiche alle sue dirette dipendenze, nonché vagliando le denunce per aprire inchieste.
Una volta che il consiglio si decideva a procedere contro qualcuno, le indagini rimanevano segrete finché non giungevano a termine. Le sentenze, segrete o rese note al Maggior Consiglio, erano inappellabili.
Solitamente le pene inflitte erano il bando o il confino, ma nei casi più gravi il Consiglio dei Dieci condannava a morte. Le esecuzioni avvenivano perlopiù di nascosto, annegando il condannato nella laguna in piena notte.
Le competenze del Consiglio dei Dieci aumentarono nel corso del tempo; oltre a occuparsi della sicurezza interna estese il suo campo d'azione all'estero, organizzando reti informative e spionistiche negli altri stati. Tutta questa importanza e il carattere segreto delle decisioni suscitarono timori e perplessità; nel 1468 il Maggior Consiglio si riunì per decidere se limitare i poteri del Consiglio dei Dieci o, addirittura, abrogarlo. Tuttavia, alla fine si decise di mantenerlo, limitandone i poteri alle situazioni di emergenza.
Questa magistratura si dimostrò molto efficace nei confronti delle congiure: nel 1355 il Doge Marino Faliero tentò di instaurare una signoria ereditaria a Venezia. Grazie agli errori commessi da alcuni congiurati il Consiglio dei Dieci venne a conoscenza di una trama in atto e, sospettando Faliero, fece riunire gli organi di governo, lasciando il Doge all'oscuro. Appurate le responsabilità, i congiurati vennero perseguiti e lo stesso Faliero, seppur ultraottantenne, fu condannato a morte.
I Tre Inquisitori di Stato
Una delle questioni più critiche per Venezia era la diffusione di informazioni coperte da segreto di Stato. A Venezia, nonostante la partecipazione politica fosse appannaggio esclusivo dell'aristocrazia, il numero di individui che prendevano parte alle decisioni era comunque elevato. In certi periodi il Maggior Consiglio fu composto da più di 2000 persone! Il rischio di fughe di notizie o di collusione con agenti stranieri era quindi serio. Un altro problema era posto dai lavoratori del vetro e dagli arsenalotti, categorie che meritavano attenzioni speciali.
Per le categorie di persone depositarie di informazioni riservate vigevano delle specifiche restrizioni: agli esponenti degli organi di governo era fatto divieto di incontrarsi con emissari stranieri, tranne che nelle occasioni ufficiali; i lavoratori dell'arsenale e delle vetrerie erano sottoposti a specifiche restrizioni negli spostamenti. Tuttavia, il rischio di trasgressioni era grande.
A partire dal 1539, il Consiglio dei Dieci elesse tre inquisitori deputati a procedere contro la diffusione dei segreti di Stato. Riconfermati più volte, verso il finire del '500 presero il nome di "Inquisitori di Stato" e divennero un'istituzione stabile. Restavano incarica un anno ed erano così composti: un inquisitore eletto fra i sei consiglieri ducali e due eletti tra i membri del Consiglio dei Dieci.
Le modalità operative erano sostanzialmente le stesse che si sono viste per il Consiglio dei Dieci: processi segreti a partire dalle denunce e informazioni raccolte; esecuzioni capitali condotte in segreto, ad eccezione di quelle dei grandi traditori. Il voto concorde dei tre inquisitori diventava sentenza inappellabile.
Denunce segrete
Per venire a conoscenza dei reati è fondamentale la collaborazione dei cittadini; un sistema per stimolarla e agevolarla è fare in modo che è chi sa qualcosa possa riferirlo in sicurezza, senza doversi esporre al rischio di ritorsioni da parte delle persone denunciate. Una prassi molto diffusa era disporre caselle per denunce segrete in vari luoghi delle città; decorate artisticamente con dei volti umani o animali, avevano una fessura in corrispondenza della bocca dove depositare una lettera contenente la denuncia. A Venezia erano chiamate Bocche di Leone (Boche de Leon). In tal modo l'identità del denunciante restava nota solo all'autorità, mentre l'imputato non poteva conoscerla.
Il vaglio delle denunce segrete era una delle attività principali del Consiglio dei Dieci e degli Inquisitori di Stato; si procedeva con cautela per non dar seguito a denunce nate da mere questioni personali. Le denunce anonime venivano solitamente ignorate, a meno che non riguardassero specifici reati particolarmente gravi; in tal caso era necessaria una votazione con maggioranza qualificata per procedere.
OSINT: i rapporti di diplomatici e mercanti
La raccolta delle informazioni non sempre avviene tramite canali spionistici; al giorno d'oggi è risaputo che molti dati sul conto di qualcuno si possono recuperare dai profili social, soprattutto se la persona in questione non è molto attenta alla privacy. In tempi meno recenti, chi voleva informazioni su un paese nemico poteva recuperarle dai resoconti di chi vi era stato.
Gli ambasciatori che risiedevano in un determinato paese scrivevano e inviavano rapporti dettagliati su di esso. Tutte queste informazioni erano particolarmente preziose: potevano indicare la situazione politica e militare, oppure lo stato di salute fisica e mentale del sovrano.
Sui diplomatici stranieri gravava però il sospetto di fare attività spionistiche, e i loro spostamenti erano visti con sospetto nel paese ospite. Emblematico è il caso dell'ambasciatore spagnolo a Venezia, il marchese di Bedmar, creatore di una rete informativa ben ramificata, il quale venne malvisto dai veneziani fin dal suo insediamento. Infine fu ritenuto l'artefice di una congiura per portare Venezia sotto domino spagnolo e allontanato. Ma i diplomatici non erano gli unici canali disponibili.
Chi può spostarsi da un paese all'altro senza destare sospetti si trova in una situazione favorevole per raccogliere informazioni. Per chi vuol cingere una città d'assedio può essere utile conoscere lo stato delle difese cittadine; e se un mercante si è trovato in quella città per affari e ha notato che in un certo punto le mura sono danneggiate, sicuramente tale informazione può costituire un vantaggio per l'attaccante.
Il ruolo dei mercanti nel passare informazioni e, in certi casi, compiere vere e proprie azioni di spionaggio, è attestato fin dall'antichità. Ma per Venezia avere i resoconti dei mercanti era anche un modo per conoscere le rotte più agevoli e le necessità di altri paesi: la Serenissima era uno stato mercantile dove la politica estera era dettata dal commercio. Un esempio storico di resoconto con valenza geografica, politica e commerciale è senz'altro Il Milione, la narrazione dei viaggi in Asia di Marco Polo.
Oltre ai mercanti, un'altra categoria di persone che svolgevano attività informative erano i religiosi; gli appartenenti a ordini monastici potevano spostarsi tra le varie sedi delle loro confraternite, oppure recarsi in pellegrinaggio, senza destare sospetti. Infatti, quando era necessario reclutare agenti da inviare all'estero, molti di questi erano ufficialmente mercanti o religiosi.
La protezione dei segreti industriali: i vetrai muranesi
L' industria del vetro divenne nel Medioevo una delle produzioni venete più importanti. Il centro per eccellenza del vetro veneziano è Murano, ma la concentrazione delle industrie in tale luogo fu determinata anche da una scelta politica: nel 1291 venne decretato che non vi potessero più essere vetrerie al di fuori dell'isola di Murano; le fornaci presenti in città furono distrutte per l'alto rischio di provocare incendi. Questa decisione della Repubblica, oltre a sancire un predominio che i vetrai muranesi si erano guadagnati nel corso del XIII secolo, rese più semplice tutelare i segreti della manifattura. I lavoratori del vetro godevano di uno status privilegiato, ma sottostavano a regole severissime; era loro vietato di lasciare Venezia senza permesso. Trasgredendo, correvano il rischio di vedere le loro famiglie imprigionate o di essere assassinati. Delle regole così draconiane erano motivate: gli altri stati bramavano di carpire i segreti della manifattura e non esitavano a corrompere gli esperti fabbricanti con la promessa di lauti guadagni. Qualcuno accettava e fuggiva, cercando di impiantare l'industria all'estero. Uno dei casi più conosciuti è quello noto come "Guerra degli Specchi".
Nel XVII secolo, tra gli oggetti di lusso più costosi vi erano gli specchi, per i quali Venezia deteneva il monopolio, fabbricando esemplari più pregiati e più grandi rispetto alla concorrenza. Uno dei maggiori clienti era il re di Francia Luigi XIV, che non badava a spese. Preoccupato dai continui esborsi, il ministro dell'economia Jean Baptiste Colbert volle impiantare una manifattura di specchi in Francia. Era necessario però conoscere le tecniche di lavorazione utilizzate dai veneziani e, a tale scopo, nel 1664 Colbert organizzò un'operazione di spionaggio industriale: grazie all'ambasciatore francese a Venezia furono contattati dei vetrai specializzati per convincerli ad espatriare. Nel corso di alcuni mesi giunsero in Francia diversi artigiani; la cosa però non passò inosservata ai veneziani, e i lavoratori furono ben presto avvicinati dall'ambasciatore Giustinian, che promise loro salvacondotti per rientrare in patria senza conseguenze, minacciandoli però di ritorsioni o di colpire le loro famiglie rimaste a Venezia se non l'avessero fatto. Venuto a conoscenza di questo, Colbert organizzò la fuga da Venezia di mogli e figli dei vetrai, per impedire che cedessero alle minacce. La reazione veneziana fu un aumento dei controlli sulle fughe di vetrai, bloccando i tentativi francesi di farne arrivare altri. Nel 1666 infine si arrivò al tragico epilogo della vicenda, con l'avvelenamento di Antonio della Rivetta, il mastro vetraio più esperto tra quelli fuggiti a Parigi:
"L'operaio si trova ora all'altro mondo, non so se morì per cause naturali o artificiali" (Marc'Antonio Giustinian, ambasciatore veneto in Francia)
Poco dopo moriva avvelenato un altro mastro vetraio e i superstiti, capita la situazione, presentarono scuse formali agli Inquisitori di Stato e rientrarono a Venezia.
Apparentemente, Colbert aveva perso; tuttavia, la manifattura francese era ormai avviata e i suoi specchi, seppur meno pregiati di quelli prodotti a Murano, soddisfarono le esigenze reali: quando nel 1678 Luigi XIV decise di far costruire a Versailles la Galleria degli Specchi, vennero utilizzati specchi di produzione nazionale.
Per approfondire:
Paolo Preto, I servizi segreti di Venezia, Il Saggiatore, Milano, 1994;
Eugenio Alberi, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Tipografia e calcografia all'insegna di Clio, Firenze, 1840 (consultabile liberamente qui);
Sulla "guerra degli specchi": https://gnosis.aisi.gov.it/Gnosis/Rivista53.nsf/servnavig/53-40.pdf/$File/53-40.pdf?OpenElement