La storia ci insegna che alcune cose diventano importanti mentre si cerca di capire se effettivamente lo saranno mai. Le criptovalute appartengono esattamente a questa categoria; quando il valore in dollari di Bitcoin è diminuito, cosa tra l'altro avvenuta svariate volte, abbiamo potuto osservare come i principali media si siano precipitati a definire tutte le crypto una “moda passeggera” o, peggio, uno strumento utilizzato per compiere attività illegali.
Nel momento in cui sto scrivendo, aprile 2021, le valute virtuali stanno nuovamente suscitando l'interesse generale. Di recente abbiamo potuto osservare alcuni eventi molto importanti:
• La quotazione in borsa di Coinbase, che ha reso disponibili al pubblico le proprie azioni la scorsa settimana. Le contrattazioni si sono aperte ben al di sopra del prezzo previsto da molti analisti.
• Quasi una trentina di società quotate in borsa, tra le quali vi è anche Tesla, detengono una certa quantità del loro patrimonio aziendale allocato su Bitcoin.
• A marzo, PayPal ha annunciato che consentirà ai suoi clienti statunitensi di effettuare pagamenti con Bitcoin e altre criptovalute.
• I risultati di un sondaggio effettuato da Mizuho Securities hanno suggerito che circa 1/10 dei partecipanti ha intenzione di spendere quanto ricevuto dall’ultimo "stimolo" da parte della Federal Reserve (una misura del piano di salvataggio anti-pandemia), per acquistare Bitcoin.
Al cuore delle criptovalute c'è la tecnologia Blockchain. Non mi dilungherò troppo, la cosa importante da sapere al riguardo è che le informazioni non sono archiviate in un database centralizzato, ma sono duplicate e salvate su una moltitudine di computer sparsi in tutto il mondo, ciascuno di essi interconnesso ed aggiornato ogni volta che viene eseguita una transazione.
In teoria, proprio grazie a questa decentralizzazione e distribuzione delle informazioni, viene meno la necessità di avere fiducia nelle controparti (trust-less system) per ciò che riguarda l’integrità dell’intera Blockchain. Questo ha una conseguenza molto importante, ovvero rende sostanzialmente impossibile la manomissione delle informazioni. Questa tecnologia ha possibilità di applicazione che vanno ben oltre al solo settore finanziario; potrebbero infatti venire utili nella supply-chain, nel settore medico oppure addirittura nel processo democratico attraverso il voto.
Le criptovalute sono create e gestite attraverso computer. Non si possono tenere in mano come una classica moneta d'oro o una banconota. Questo stesso fatto, il non essere denaro "fiat" emesso dai governi e gestito (alcuni direbbero manipolato) dalle banche centrali, è estremamente importante per molte persone. Al contrario delle tradizionali valute, il valore di una criptovaluta deriva dalla sua relativa scarsità, ovvero dallo sforzo computazionale necessario per estrarla unito ad un limite fisso della quantità in circolazione. Parallelamente, la crittografia sulla quale si fonda tutto il database garantisce la privacy, sebbene le transazioni non siano necessariamente anonime e non rintracciabili (vengono definite infatti come pseudo-anonime).
Non tutte le valute virtuali sono però rispettose della privacy; la Cina sta lanciando una versione digitale del suo Yuan, che in realtà è l'antitesi stessa di una criptovaluta. E' pensata infatti per essere monitorata, ed è fortemente centralizzata. Alcuni ritengono che anche gli Stati Uniti dovrebbero creare una versione digitale della loro valuta (presumibilmente meno controllata rispetto a quella cinese), soprattutto se il paese vuole continuare a godere dei vantaggi derivanti dall'avere una moneta, il dollaro, che è utilizzata come principale valuta di riserva a livello mondiale. Però, ufficialmente, non pare esserci tutta questa fretta.
Dal punto di vista dei governi, l'ascesa delle criptovalute pone una scelta difficile: regolamentare, non regolamentare o praticare una via di mezzo?
Il deputato americano Tom Emmer, membro della commissione parlamentare sui servizi finanziari, è stato proattivo sulla questione posta al Congresso, relativa alla tassazione degli scambi in moneta virtuale. In accordo con le sue posizioni politiche, Emmer ritiene sia preferibile poca regolamentazione, da applicare senza fretta. Vuole garantire infatti che imprenditori e cittadini abbiano un sufficiente spazio di manovra e libertà nel settore. Personalmente, mi piace molto il fatto che Emmer si sia informato rapidamente sull'argomento, saltando le normali prassi burocratiche e legislative. Il suo favore verso le monete virtuali è tale da fargli accettare contributi alla sua campagna politica pagati in criptovaluta. Trovo che questo sia un esempio da seguire quando si parla dell'argomento regolamentazione delle crypto.
Nonostante la loro presa (“traction” come direbbero in Silicon Valley), il ruolo finale delle valute virtuali rimane sicuramente una questione aperta. Alcuni paesi stanno valutando divieti e forti limitazioni, mentre altri stanno spingendo sull’acceleratore per quanto riguarda l'utilizzo (addirittura permettendo di pagarci le tasse).
Ci sono delle domande specifiche che non trovano ancora risposta: in che modo dovrebbero essere tassati gli scambi effettuati a mezzo di criptovalute? Le tasse saranno facili da eludere? Gli utenti avranno adeguata privacy? Gli utilizzatori con obiettivi fraudolenti troveranno facile occultare le proprie attività illecite? L'elevato consumo energetico (apparente) dovuto allo sforzo computazionale verrà risolto in qualche modo? Infine, le economie dei vari paesi potranno rimanere stabili se il sistema si evolve con la conseguente perdita di influenza da parte delle banche centrali?
Ecco, questi interrogativi sicuramente meritano uno studio approfondito da parte degli enti che se ne dovranno occupare. Parallelamente la questione, proprio come ha fatto Emmer, andrebbe affrontata con una metodologia proattiva e senza perdere ulteriore tempo.
Trovo interessante un recente studio pubblicato sulla rivista Nature, dove viene riportato il fatto che le persone siano più propense a considerare soluzioni che aggiungono complessità rispetto a quelle che la rimuovono, anche quando rimuoverle sarebbe più rapido. Si può evincere allora che siano preferibili soluzioni tecnicamente complesse, ma con benefici tangibili da tutti.
In conclusione, siamo di fronte al classico dilemma dell'uovo e della gallina: le complicazioni tecniche devono essere inserite all'interno o al di sopra del sistema finanziario attuale? Sarà la reinvenzione della valuta stessa oppure la sua regolamentazione a conclamare il primo passo verso un diverso sistema finanziario?
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