Smart working durante l'epidemia COVID-19, opportunità o ennesimo fallimento Italiano?
L'epidemia di COVID-19 ha dato al via una delle più grandi sperimentazioni di Smart Working di sempre, sapremo coglierne l'opportunità o no?
L'epidemia di COVID-19, che si sta espandendo in tutto il mondo, ha reso necessarie delle drastiche contromisure da parte del governo italiano. Con i decreti del 8 e del 11 marzo (#Iorestoacasa) si è dato avvio alla progressiva chiusura del paese, a incominciare dalla Lombardia; la regione che è stata colpita in modo più violento è anche quella più produttiva, pertanto gli effetti dell'epidemia stanno facendo sentire il loro peso sull'economia nazionale.
I due decreti citati tuttavia hanno dato alle aziende la possibilità di mettere alla prova il funzionamento del cosiddetto "lavoro agile", definito dal governo come:
«una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa.»
Sebbene siano concetti spesso assimilati, occorre fare una distinzione tra lavoro agile propriamente detto (smart working) e telelavoro: nel primo caso infatti si lavora per obiettivi con la massima flessibilità oraria, mentre nel secondo si è vincolati al rispetto di un'orario d'ufficio, che può essere più o meno flessibile. Nella maggior parte dei casi, quello che abbiamo visto praticare in questi giorni è stato il telelavoro, ossia lo svolgimento del lavoro nel normale orario d'ufficio con le sole differenze del luogo da cui si lavora e delle modalità di comunicazione.
In questo articolo parleremo del lavoro a distanza e del suo impatto sulla vita del lavoratore nonché sulla stessa attività produttiva. Bisogna premettere una cosa: per gran parte delle aziende italiane ed estere, il lavoro da casa non era stato pensato come uno strumento "di salvezza", da utilizzare in periodi di emergenza. Sebbene infatti vi fossero dei business recovery plan già pronti sulla carta, pochi di questi erano realmente in grado di funzionare allo scattare dell'emergenza. Questo ci porta a un'amara considerazione sulla fragilità della nostra economia, nella quale il verificarsi di un evento casuale e imprevedibile può portare a una grave crisi, col successivo impoverimento di molte persone.
Nel cercare di far fronte alla situazione, le aziende che già praticavano il lavoro a distanza con frequenza di uno/due giorni alla settimana, lo hanno esteso a tutta la settimana per il maggior numero possibile di dipendenti, mettendo a dura prova i loro server. Altre aziende si sono attrezzate in tutta fretta, e nel complesso si può dire che gli aggiornamenti tecnologici fatti in queste settimane per rendere possibile il lavoro in remoto hanno superato quelli fatti nel corso di tutto l'anno passato. C'è stata una vera e propria corsa all'acquisto di attrezzature informatiche da fornire ai dipendenti per operare da casa, e in certi casi l'emergenza ha spinto i datori di lavoro a chiedere ai lavoratori la disponibilità a utilizzare i loro computer personali.
A distanza di qualche settimana dall'avvio di questa fase "sperimentale", abbiamo provato a elencare i pro e i contro che sono emersi in relazione a questo modo di lavorare.
PRO
- Miglioramento della qualità della vita dei lavoratori pendolari, che guadagnano del tempo extra da dedicare a se o alla famiglia, tempo che normalmente sarebbe stato impiegato per gli spostamenti.
- Risparmio considerevole di tempo nei casi in cui si debba svolgere una commissione al di fuori dell'ufficio.
- Il canonico orario d'ufficio rimane valido per il telelavoro, ma nella metodologia di lavoro agile viene stravolto e si lavora per obiettivi.
- Per quanto riguarda le aziende, riduzione delle spese di mantenimento degli uffici ed eventuali rimborsi assegnati ai dipendenti per spostamenti e pasti.
CONTRO
- Sebbene una piccola parte di datori di lavoro siano bendisposti ad attivare politiche di smart working e/o telelavoro, è ancora presente una barriera psicologica dei dipendenti, che non sono sufficientemente preparati a lavorare in questo modo.
- I datori di lavori non sono sempre favorevoli, soprattutto in Italia permane la smania di controllo e un certo atteggiamento da parte del capo, che si sente glorificato dal fatto di avere tutt'attorno i sottoposti; a tal proposito vorrei citare una scena a cui ho assistito personalmente, che è di per se emblematica: mi trovavo a pranzo col titolare di un'azienda (presso la quale ero consulente) e i suoi dipendenti. Il titolare, senza nascondere un certo orgoglio, a un certo punto esclamò: "Oggi siamo qui in 20, mi sento Marchionne"...
- Potrebbe essere difficile misurare le attività su lunghi periodi, specialmente quando le procedure non sono chiare e collaudate.
- Limiti tecnologici per i meeting di gruppo; l'Italia da questo punto di vista soffre ancora molto il digital divide, e la mancanza di organizzazione e regole stabilite dall'inizio non fa ottenere i risultati sperati in termini di produttività (spesso ci si perde in chiacchiere da bar, soprattutto di questi tempi).
- L'utilizzo di dispositivi personali nel lavoro a distanza rischia di essere più controproducente che altro, lo dimostra l'aumento degli attacchi informatici in Italia durante questo periodo (approfondimento su Il Sole 24 Ore)
- Non sempre si ha a disposizione uno spazio in casa da dedicare al lavoro.
Un sondaggio di SWG prova a raccontarci come stanno vivendo la nuova situazione lavorativa i dipendenti; la lettura di questo sondaggio andrebbe fatta tenendo in considerazione sia il momento particolare che stiamo vivendo, sia una eventuale barriera psicologica dei lavoratori, in quanto non è possibile pensare di attivare in modo efficiente la metodologia di lavoro remoto senza un'adeguata preparazione.
Fra i possibili aspetti negativi non va infine sottovalutato il livello di contromisure adottate dalle aziende in tema di cyber security: proprio in questi giorni di emergenza sanitaria con l'incremento di collegamenti telematici sono aumentate le attività illecite, rese più facili dove la connessione avviene tramite l'utilizzo dei dispositivi personali dei dipendenti, maggiormente vulnerabili agli attacchi degli hacker. A tal proposito si rimanda alle opinioni di Stefano Mele, avvocato esperto in cyber security e Nunzia Ciardi, direttore del Servizio di Polizia postale e delle Comunicazioni, in un intervista di Radio 24.
Rimangono ulteriori questioni riguardo ai possibili cambiamenti sociali e ambientali dovuti al lavoro da casa, per le quali non si hanno ad oggi risposte:
- Non è ancora presente uno studio affidabile sulla questione inquinamento. C'è una riduzione o aumento? Se è vero che meno automobili si spostano tra le città, che impatto può avere il maggiore utilizzo degli impianti di riscaldamento o di climatizzazione nelle abitazioni?
- C'è una diminuzione delle relazioni sociali? Venendo meno i momenti di socialità quali i pranzi e le pause con i colleghi, bisognerà forse bilanciare la quantità di giornate svolte da remoto e da ufficio? (per ora #RestateaCasa)
- Il numero di pause dai terminali dovrebbe essere uguale a quello che si applica in ufficio, quindi almeno una pausa di 15 minuti ogni 2 ore di lavoro e la canonica ora di pausa pranzo. Lavorando da casa queste vengono rispettate allo stesso modo?
- Come vestirsi durante le ore lavorative da casa? Anche se spesso si preferisce la massima comodità, coloro che devono svolgere videochiamate con colleghi o clienti dovrebbero cercare di avere un aspetto curato. Ma in generale seguire alcune "ritualità" (come può essere il cambiarsi d'abito prima di incominciare a lavorare), potrebbe avere un certo impatto sullo svolgimento del lavoro stesso?
Insomma, come si è visto nelle prime settimane di sperimentazione, i "contro" superano i "pro", al netto delle questioni rimaste aperte. È lecito quindi domandarsi se una volta finito questo triste periodo torneremo tutti alla vita di prima o sarà cambiato qualcosa nel nostro modo di lavorare. Se così non fosse sarà stata l'ennesima occasione sprecata per il nostro paese, dove finora lo smart working era considerata una cosa moderna e di tendenza, da fare nelle nostre aziende solo per imitare gli americani. Ci dobbiamo piuttosto augurare che si faccia tesoro di questa esperienza, e che nei prossimi anni si consideri il lavoro in remoto come uno strumento essenziale per garantire la continuità produttiva quando non è possibile la presenza in sede del lavoratore. Andrebbero di pari passo aggiornate le attuali normative sul lavoro, che non tengono conto di molte delle situazioni tipiche di questo genere di attività. Speriamo che questa nostra riflessione possa aiutarvi ad avere le idee più chiare sull'argomento oppure, perché no, serva a qualcuno come punto di partenza per rivoluzionare la propria attività.